mercoledì 4 novembre 2009

ATTENTATO NELL'ANNO MILLE

di Igor


Il giullare Jaque avanzò nel castello fino alle stanze principali; tutto sarebbe dovuto andare per il meglio: il generale Lotario avrebbe convinto i soldati e, se qualcuno di essi non fosse stato d’accordo, ci avrebbe pensato il colonnello Hans. Richard, il buffone di corte, e Bernard, il maggiordomo del palazzo, avrebbero dovuto sorvegliare la città con una squadra di uomini fidati. Il giullare dirigeva l’attentato che avrebbe portato al trono il principe Dick, secondogenito del re Liutprando.
Finalmente incontrò il generale.
“Tutto fatto: abbiamo in mano tutta la famiglia reale, escluso il re. Con l’esercito tutto bene, solo qualche ribelle, prontamente eliminato dal colonnello”.
“Ottimo” commentò “Ora potete procedere all’eliminazione del principe ereditario”.
“Benissimo”.
“Me ne occupo io personalmente” intervenì il colonnello mentre sopraggiungeva.
“Va bene, potete andare” comandò il giullare.

Attesero per circa mezz’ora in uno dei corridoi del palazzo, finché arrivò di nuovo il colonnello.
“Eseguito” annunciò inflessibilmente.
“Bene, ora rechiamoci dal principe” ordinò il giullare.

Giunsero agli appartamenti del principe Dick.
“V.A., tutto procede per il meglio” annunciò “Abbiamo preso tutti i vostri familiari ed eliminato vostro fratello”.
“Bene” commentò Dick con una punta di tristezza “Ci sono problemi in città?”
“Sembra di no”.
“Possiamo procedere”.
Il colonnello prese una venitna di soldati e tutti si diressero verso la sala del trono.

Intanto Richard, il buffone, e Bernard, il maggiordomo, passeggiavano tranquillamente per la silente città insieme a dieci soldati: era domenica, tutti rimanevano in casa.
Si diressero alle mura di nordovest: da lì sarebbero dovuti arrivare i Vichinghi, ma in quel pomeriggio soleggiato e limpido non si potevano scorgere esseri umani, a parte un contadino che trasportava grano con un mulo.
“Oggi i Vichnighi non verranno, ” commentò Richard “ma prima o poi arriveranno e noi siamo troppo deboli per fronteggiarli”.
“Sì, ci distruggeranno” confermò Bernard.
“E introdurranno il feudalesimo e per i contadini come quello sarà devastante”.
La loro piccola città, con il piccolo territorio circostante, era l’unico stato in cui non vigeva il feudalesimo.
“Bè, credo che ora possiamo rientrare” propose il maggiordomo.
“Sì, tutto è tranquillo”.
Ripresero il cammino verso il palazzo, seguiti dalla piccola squadra.

Il re era protetto da una ventina di guardie, provenienti da paesi mediterranei, invise all’esercito regolare.
Il colonnello soppresse l’uscere prima che potesse allarmarsi e chiedere aiuto, quindi la squadra, guidata da Dick, entrò nella sala del trono.
Si scatenò una feroce battaglia, in cui persero la vita molti soldati e molte guardie.

Verso il tramonto Mario, capo delle guardie, un trentenne veneziano, si arrese: tra le guardie c’erano quattordici morti e quattro feriti, tra i soldati otto morti e tre feriti.
Mario e le due guardie ancora illese furono fatti prigionieri, mentre i soldati si fecero intorno al re, al Primo Ministro e al Gran Consigliere.
“Fermi!” ammonì il principe “Io devo conquistare il trono! Prendete gli altri due, ma io devo occuparmi di mio padre”.
“Non osare!” ammonì il padre, brandendo la spada.
“Un duello per il trono, papà”.
“Il trono spetta a tuo fratello!”
“Non più, mio fratello giace in una cella”.
“Cosa! Pagherai la tua insolenza!” gridò lanciandosi verso il figlio.
Duellarono intensamente per circa un’ora, senza che uno dei due avesse la meglio.

Padre e figlio iniziavano a riflettere su ciò che stavano facendo ed entrambi iniziarono a sentirsi colpevoli; ad un certo punto il re ebbe come un’illuminazione e capì cosa avrebbe dovuto fare per salvare la propria anima e il regno: si fermò, lasciò cadere a terra la spada e si lasciò trafiggere dal figlio ignaro.
Quando Dick s’accorse di quanto aveva fatto il padre, lanciò un grido di lamento ed iniziò a piangere.
“Cos’ho fatto?” si lamentò “sono colpevole verso di voi, verso Dio e verso il popolo”.
“Anch’io sono colpevole” ribattè il padre “ma Dio ci perdona perché ci ama più di quanto noi possiamo immaginare. Io l’ho capito solo ora, ma tu hai molti anni davanti a te. Guida con giustizia e clemenza questo regno, non dimenticare che io sarò sempre con te ed anche Dio ti aiuterà se glielo chiederai”.
“Non sono degno di regnare, sono un assassino”.
“Ma tu devi regnare, è il tuo destino, è ciò che Dio vuole da te”.
“Non posso, non merito il perdono”.
“Io te l’ho già dato ed anche Dio te lo darà se glielo chiederai. Preghiamo insieme”.
Dick s’inginocchiò di fianco al padre morente ed iniziò a pregare con un filo di voce.
Il re pregò con lui per alcuni istanti, poi morì con il sorriso.

Il giorno seguente furono celebrate le esequie in onore del sovrano e del suo primo figlio.
Fu osservata una settimana di lutto, al termine della quale l’arcivescovo Gandolfo incoronò Dick.
Il giullare fu nominato Primo Ministro, Lotario divenne Gran Consigliere, Hans generale, Bernard Ministro del Tesoro e delle Tasse, Richard maggiordomo del palazzo.
Il popolo festeggiò il nuovo re per una settimana.
Si aprì per la città un periodo di prosperità e culturale: i salari dei contadini furono incrementati, nel mercato cittadino iniziarono a venire mercanti da tutta Europa, le tasse diminuirono; il territorio del regno in pochi anni fu raddoppiato grazie ad alcune campagne vittoriose condotte dal generale Hans e soprattutto alla grande vittoria sui Vichnighi ottenuta nel quinto anno di regno di Dick.
Dick fece costruire una nuova cattedrale nella città ed un convento nelle sue terre, proseguì nella lotta intrapresa dal padre e dagli avi contro il feudalesimo e governò sempre con giustizia e tenendo conto dell’amore di Cristo, sperando infine di ottenere il perdono del Signore.

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