giovedì 5 novembre 2009

IL GIORNO CHE HO SMESSO DI CREDERE

Francesca Stella Riva


Il giorno che ho smesso di credere c’era una bara davanti all’altare ed era la seconda in due anni e pensavo: non credo.
Volavo a pochi metri d’altezza sopra la gente, sopra le signore in nero che cantavano “Purificami,o signore” con la voce troppo acuta che hanno tutte le beghine,ero aggrappata al suo braccio,che mi ancorava al suolo,ma galleggiavo nell’aria fredda,spessa,dell’autunno.
Allora,invece,davanti all’altra bara,nell’altra chiesa,con l’altro prete,completamente pelato, a dire messa,la gente era uscita dai portoni tamponandosi la fronte imperlata di sudore piuttosto che gli occhi bagnati dal pianto:non il freddo di adesso,ma il caldo insopportabile di Luglio mi aveva vista seduta in seconda fila,là dove ti costringono a stare,dove adesso c’era lui,che vedevo dal mio posto più indietro,un posto da amica, non da figlia.Lì in fondo l’omelia mi arrivava a tratti, “Ricordate che a lei,come a tutti noi,sarà dato dal Signore un corpo nuovo,non quello ormai distrutto dalla malattia,un nuovo abito avremo noi,scintillante di nuovi atomi,nuove molecole”.
Atomi,molecole,come gemme di un abito bianco,come la sua collana d’ambra,come i gioielli di granato della nonna,atomi e molecole non sono le parole giuste,sei un servo di Dio,parla come mi aspetto che un servo di Dio parli,sono qui per la religione,non per la scienza. Dimmi di amore,spirito,luce,tenebre,leggimi la Bibbia e fammici trovare qualcosa che non ho mai nemmeno pensato di cercare,dimmi di peccato,redenzione,morte e resurrezione,ma lui niente, da dietro l’altare continuava imperterrito e io continuavo a volare,intrecciandomi con l’ edera rossa che colorava il campanile: foglie rosse contro il cemento grigio,fatto-da-Dio contro fatto-per-Dio.
“Noi incensiamo i corpi dei nostri cari,non solo gli idoli,siamo i soli fra tutte le religioni a farlo”. Lo vedevo,vedevo la sua espressione di disappunto là,fra zii e cugini,ogni tanto si girava verso di me per incontrare il mio sguardo ma non lo trovava,non poteva,io ero sopra di lui aggrappata al crocifisso e sentivo ogni vertebra della sua schiena urlare “Via,via,andate via!” nel silenzio scricchiolante della chiesa,le vedevo tutte implorare per un segno,stabilire un ultimatum “un segno adesso,o non crederò mai più”. Troppo presto per lui,però.
Il giorno che ho smesso di credere,ho visto la luce incunearsi nel buio passando dal grande portone spalancato di colpo dai portantini,l’ho vista illuminare tutti,un raggio chiaro sulla sua giacca nera che continuava a gridare “Via,via!”, uno sulla bara che veniva portata via cigolando, un po’ d’olio, per Dio,sulle rotelle e pensavo:non credo.
Io credo nelle candele accese,nelle preghiere dei vecchi,nei silenzi interrotti dal pigolare degli uccelli,nelle monete che cadono tintinnando dalle mani dei bambini,nel freddo umido della messa di mezzanotte. Credo nella magia del credere,ci credo davvero,ma quando morirò,vi prego,buttatemi in una fossa comune e che nessuno parli,piuttosto mandate ogni giorno qualcuno ad accendere una candela per me,una beghina vestita di nero,un bambino,non i miei genitori,non i miei figli,non chi mi ha amata.

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