giovedì 5 novembre 2009

HAPPINESS IS A LITTLE SHOE

di Chiara Natalini


Quando le luci si accendevano nel grande magazzino “Il Paradiso del piede”,Cloris era li che ti attendeva sulla porta, con in dosso la sua camicia rosso smagliante e il sorriso impeccabilmente stampato sul volto. La vita del commesso in un grande magazzino di provincia non è certo densa di emozioni e colpi di scena. Sempre i soliti orari, le solite facce, perlopiù famiglie con bambini. Raramente capitavano in negozio ragazzi giovani o ragazze, ma Cloris non legava molto con i suoi coetanei. Per dirla tutta, Cloris non aveva amici con cui uscire e divertirsi. Ci aveva provato qualche volta, ad uscire con i suoi colleghi e colleghe, ma aveva presto perso interesse per la cosa. D'altronde, lui era sempre stato un ragazzo retto e diligente, e come gli aveva insegnato mammina, se faceva tardi la sera, come poteva sperare di lavorare bene e fare carriera? E poi, quelle persone non lo avrebbero mai potuto capire e condividere con lui, quello che era il suo vero interesse, la sua passione.

La passione segreta di Cloris erano i piedi e tutto ciò che aveva a che fare con loro.

Fin da bambino, quando mammina giocava con lui, piangeva e la supplicava perché lo carezzasse sulla pancia, come talvolta faceva con Spooky, il suo Yorkshire, quando si metteva a pancia all’aria in cerca di coccole. Crescendo, mammina smise di giocare con lui. Ora era sempre in giro con i suoi amici e raramente si faceva vedere in casa. I maligni dicevano che faceva la donnaccia, ma Cloris sapeva che le signore che lo dicevano, erano solo invidiose perché la sua mammina era giovane e bella. E poi mammina era anche molto religiosa. Aveva una statuina della madonna sul suo comodino, bella grande e sempre lucida e ben oliata. Mammina diceva che così i colori della madonna brillavano più nel sole, anche se una volta Cloris stava per farsela cadere di mano perché gli scivolava.

Comunque neanche mammina sapeva del suo amore per gli arti inferiori, perché questo amore, così sincero e passionale per lui, sarebbe stato giudicato sporco dagli altri. La notte, quando spesso si trovava solo in casa, amava prendere tutte le scarpe di mammina e metterle in fila sul tavolo davanti a se. Per un po’ le ammirava così, da lontano, come oggetti iconici, austeri e inaccessibili; poi, timidamente si avvicinava, ne prendeva una con tutto il rispetto che si ha per qualcosa di sacro, e cominciava ad accarezzarla con molta attenzione. Se era una scarpa nuova, non attirava molto la sua curiosità. Le scarpe nuove erano così impersonali…Certo, avevano il loro fascino;come tutte le cose nuove, sapevano di vernice fresca e la loro forma era lineare, senza difetti. Erano lisce, dure, con i tacchi ben appuntiti e sognava la sensazione che avrebbe avuto, se fosse stato in pavimento su cui avrebbero camminato. Ma quelle che lo facevano gemere e emozionare come un bambino che apre i regali di Natale, erano un paio in particolare. Erano le scarpe che mammina portava a diciassette anni, la sera in cui incontrò papino e Gesù gli regalò Cloris. Mammina gli aveva sempre detto che papino era in cielo, ma i cattivi dicevano che piuttosto papino era a Regina Celi.

Quelle piccole scarpe color verde pastello fuori e oro dentro, dove ben in rilievo si notavano le forme delle dita che le avevano calzate e l’odore di sua madre era oramai parte di esse come lo erano i tacchi e la suola, lo rilassavano mentre le accarezzava, lo estasiavano mentre con la sua lingua timida le assaporava solo un poco dentro,come che si vuol far durare il più possibile una caramella, gli facevano perdere quasi la cognizione del tempo mentre inalava gli odori riportati in vita dalla saliva. A quel punto… non osava dirlo ad anima viva, chissà come avrebbe pianto mammina se avesse saputo che lui faceva certe cose, ma quel punto Cloris non resisteva più. Si slacciava i pantaloni come in trance e ogni volta rimaneva stupito nel vedere che il suo piccolo pene rosa, di solito morbido e con la peluria di un pulcino, come diceva mammina, si ingrossava e si muoveva impaziente. A questo punto, faceva scivolare le mani dentro le piccole scarpe e infilava il pene nello spazio tra le due suole e i tacchi. Le suole appena lucidate gli grattavano in maniera deliziosa il pene triplicato e quando raggiungeva quello strano piacere così forte, faceva in modo di schizzarsi sui piedi. Quando tutto era finito, lo rilassava strusciarsi i piedi uno contro l’altro e divertirsi a giocare con il liquido caldo che gli scivolava tra le dita.

Ehhh… si! Niente lo faceva sentire così bene; lo riportava alla felicità che provava nell’infanzia, quando mammina lo carezzava sulla pancia con i piedi come faceva con Spooky.

Era bello per Cloris avere del tempo per coltivare la sua passione, anche se tante volte, dopo essersi reso felice con le sue amatissime scarpe, sentiva una grande tristezza dentro di se.

Aveva le scarpe certo, ma queste erano sempre vuote. Conservavano l’odore, il sapore e a volte anche un po di calore, se riusciva ad impadronirsi di un paio che la madre aveva indossato da poco, ma non aveva mai provato in vita sua cosa significasse avere accanto a se un vero piede; un piede amico che lo capisse e lo amasse come lui certo avrebbe fatto. Quante notti aveva passato a piangere, circondato dalle centinaia di scarpe di sua madre, amatissime certo, ma vuote.

Poi, in un uggioso giorno di settembre, era capitato che passeggiando nella zona commerciale della sua città, si era trovato difronte ad uno scintillante prefabbricato appena finito. L’insegna al neon grande come la facciata annunciava la nascita del nuovo esercizio commerciale “Il Paradiso del piede”, grande magazzino dedicato interamente alle calzature.

Cloris si avvicinò con il suo ombrellino giallo alla vetrate ancora coperte dai giornali e sulla porta trovò quest’annuncio su un volantino rosa fucsia “Prossima apertura, si cercano commessi part-time e full-time. Presentarsi Lunedì 18 dalle ore 08.00 alle 13.00”.

Il viso di Cloris si illuminò.Strappò un volantino dal muro e si diresse saltellando verso casa canticchiando sottovoce “I singing in the rain”. In quel momento una nube si squarciò e lasciò passare un raggio di luce che lo illuminò e lo fece brillare, nel sole come la madonna di mammina . Quel lavoro sembrava un sdegno del destino o un regalo divino , arrivato in uno dei momenti più bui della sua esistenza a comunicargli che la vita riserba sempre delle sorprese.

Ed ecco fatto! Dopo una settimana lavorava come commesso al “Il Paradiso del Piede” e non era mai stato così felice in vita sua. Naturalmente si era fatto assumere full-time e molte volte faceva anche degli straordinari.

Alle nove di mattina, che piovesse o splendesse il sole, lui era lì ad aprire le porte di quello che per lui era diventato un tempio personale.

Era sempre gentile e disponibile con tutti, anche se parecchio riservato e partecipava raramente alle uscite comuni dei suoi colleghi. Ma a parte questo, era amato e rispetto da tutti. La sua pazienza pareva non esaurirsi mai, anche con i clienti più esigenti. Nessuno sapeva come facesse ad avere sempre quel sorriso smagliante anche dopo le giornate più stressanti e quando il capo gli accolava gli straordinari.

Se solo avessero saputo….

Dopo pochi mesi aveva imparato ad amare ogni paio di scarpe o modello del negozio. Quando venivano cambiati i modelli, era sempre un po’ triste per le scarpe che se ne andavano e con loro i ricordi dei piedi che li avevano calzati e le emozioni che aveva provato. Mentre disfaceva gli scaffali, rimirava con tristezza quelle scarpe de ginnastica bianche immacolate, ora un po’ giallognole. Ricordava il giorno che una ragazza in fuseaux neri e maglietta gli aveva chiesto di provare quel modello. La fece accomodare sulla piccola poltrona e sorridendo le chiese che numero desiderasse, il trentanove…Benissimo. Trotterellò verso lo scaffale sportivo e notò con gioia che la ragazza indossava invece che delle calze di spugna, dei fantasmini sportivi. Preferiva i fantasmini perché erano come una mascherina per il piede e lasciavano intravedere la caviglia e il candido collo del piede, un po’ arrossato dato che era stato appena liberato.

Cloris si era messo in ginocchio davanti a lei; aveva aperto la scatola che portava e liberato dalla carta velina la bianca scarpa destra. Una zaffata di pelle nuova e vernice lo colpì come una ridente brezza marina e non potè fare a meno di sorridere. La ragazza ricambio con un sorriso imbarazzato, credendo che quel sorriso fosse rivolto a lei. Lui la aiutò con la mano a guidare il suo piede dentro la scarpa slacciata e potè sentire benissimo il calore che il piede diffondeva intorno a se, come se tutta l’energia che avesse accumulato fino a quel momento, avesse trovato modo di sprigionarsi per lui.

L’odore poi… L’odore dei piedi sportivi gli piaceva particolarmente.

Il piede di quella ragazza gli ricordava il sandalo speziato e una tazza di thè al gelsomino bollente, con un retrodore di sudore sano, di chi è sempre attivo e mangia cose sane.

La ragazza, indossata la scarpa, si allacciò le stringhe e si alzò dalla poltroncina. Puntò un po’ il piede per terra e fece una breve passeggiata fino allo specchio.

Cloris seguì con lo sguardo, il retro della scapra che si dirigeva a passo sicuro verso lo specchio. Ecco! Quell’oggetto che fino a qualche minuto prima era chiuso in una scatola, dormiente nel buio, aveva preso vita ed era pronto per dirigersi chissà dove.

Cloris non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, lo avrebbero di certo considerato uno stupido, ma quella visione lo riempiva, anche se per qualche secondo, di un senso mistico di amore.

Era come se lui avesse assistito la trasformazione di un oggetto, da inanimato a vivo.

Si sentiva come il dio che aveva permesso a tutto questo.

La ragazza fece una breve passeggiatina, poi dichiarò che le scarpe andavano bene. Già dal suo piede forte e nervoso, Cloris aveva capito che era una tipa decisa. Lei si levo la scarpa e gliela pose. Mentre la riponeva nella scatola, potè percepire quel minimo di calore che aveva incominciato a riscaldarla e con un po’ di segreta tristezza, le disse silenziosamente addio, augurandole tante avventure insieme alla sua nuova padrona.

Ma l’amore di Cloris non era un amore esclusivo. Come il buon dio, che anche se ha tanti figli, non fa discriminazioni e li ama tutti, Cloris dava amore ad ogni piede che il destino gli faceva capitare fra le mani. E chissà per quali vie segrete opera il divino, raramente un cliente di Cloris non era soddisfatto o rifiutava un acquisto. Riusciva a trovare per ogni piede la sua scarpa ideale e la felicità che dava a chi acquistava, non era niente, paragonata a quella che riceveva lui, potendo finalmente fare conoscenza verso l’oggetto del suo amore.

La vita di Cloris si svolse appagata e pacifica per molti mesi, finchè un giorno, quasi ad ora di chiusura, si presentò una signora di una certa età con una bambina.

Voleva un paio di scarpe per un matrimonio, per se e per la sua nipotina. La bambina era irrequieta e come tutti i bambini odiava acquistare vestiti. Senza una parola, si fiondò subito nella piscina di palline nell’angolo bambini.

La signora comunicò a Cloris che aveva bisogno di un paio di scarpe eleganti da abbinare ad un abito nero. Lei volle provare qualche modello nero mentre Cloris, con infinita pazienza continuava a portarle scatole su scatole. Poi notò i suoi piedi. Attraverso le calze color carne, intravedeva le gambe della signora. Certo, oramai l’età le aveva fatte cedere e una grossa vena varicosa le scendeva lungo la tibia, ma le sue caviglie, nonostante fosse una signora sulla sessantina andante, non si erano ingrossate come capita alle signore di una certa età. Il collo del piede era snello e il piede molto curato. Attraverso le calze poi, meraviglia delle meraviglie, poteva intravedere le dita dei piedi accuratamente laccate di un bellissimo smalto rosso.

Così Cloris ebbe una folgorazione. Intanto la signora stava provando un modello che non le piaceva come calzava e gli chiese di portargliene un altro che aveva visto su uno scaffale. Cloris si diresse verso lo scaffale e di quel modello ne prese uno in versione rosso smagliante. Si presentò dalla signora dichiarando che di quel numero, era rimasto solo un modello di colore rosso. La signora scosse la testa dicendo che non stava bene alla sua età un colore del genere, ma Cloris gentilmente le disse almeno di provarle, che secondo lui le andavano perfette. La signora sbuffando, si liberò della scarpa precedente.

La scarpa rosso fiammante saltò fuori dalla scatola in tutto il suo splendore. La vernice era lucida e le linee risultavano sinuose e scintillanti nella luce. Cloris non riusciva quasi a trattenere le lacrime, difronte a tale meraviglia. Ma come di consueto, non lasciò trasparire nessuna emozione da sotto il suo sorriso da gentile commesso e porse la scarpa alla signora.

Ed ecco che a quel punto avvenne un miracolo.

Come per una strana mutazione, quella signora austera fino al midollo, mutò di colpo espressione.

I sui occhi, di ghiaccio fino a qualche secondo prima, parvero ritrovare la luce di una ragazzina; le guance fredde e bianche da statua barocca, si colorirono come piccole rose di campo e la bocca tirata, si rilassò in un timido sorriso imbarazzato quando, con infinito rispetto e delicatezza, Cloris la aiutò a calzare quelle minute scarpe rosse.

Cloris era impreparato ad una simile reazione. Fino a quel momento, era stato l’unica persona che avesse mai incontrato, ad avere tali reazioni per un paio di scarpe. La signora , mostrava in maniera evidente tutte le reazioni e i sintomi dello stesso suo amore.

Mentre Cloris ancora perplesso si stava domandando fino a che punto la donna ne fosse stata conscia, lei si alzò e, sfoderando una grazia di altri tempi, cominciò a passeggiare avanti e indietro dal divanetto fino allo specchio. E incominciò a raccontare.

Lei aveva sempre abitato nella piccola città di mare, la stessa di Cloris. Quando era bambina e suo padre portò la televisione a casa, si appassionò a vedere i musical americani insieme a sua sorella più grande. Quello che le piaceva di più era “Il mago di Oz”. Da quel giorno lei e la sorella, immaginavano di essere Dorothy nel regno di Oz.

Poi la sorella crebbe e smise di giocare con lei. Lei era piccola e ogni tanto piangeva e supplicava la sorella di continuare a giocare con lei, allora un giorno sua sorella, particolarmente toccata dai pianti della piccina, le mostrò in segreto il regalo che le aveva fatto un ragazzo americano di cui in segreto era innamorata. Un paio di scarpe di vernice rossa molto simili a quelle di Dorothy. Se le calzò e cominciò a canticchiare la canzoncina di Dorothy battendo a ritmo i tacchi. Era radiosa e la signora non ricordava di averla mai vista così bella. La sorella le raccontò che lui l’amava e aveva giurato di portarla in America con lui. La signora, ancora bambina, era triste all’idea di non vedere più la sorella; ma lei, sorridente, gli aveva promesso che, non appena si fosse sposata, l’avrebbe fatta chiamare e sarebbe andata in America a trovarla. Sarebbe partita la notte successiva, Di nascosto dalla loro famiglia. Fece giurare alla bambina che non avrebbe detto niente e in cambio le regalò le scarpe rosse, così avrebbe potuto giocare al Mago di Oz ed essere proprio come Dorothy.

Tanto, una volta arrivata in America, il fidanzato gli avrebbe regalato tutte le scarpe rosse che voleva. La signora- bambina, ringraziò la sorella e piangendo ne prese commiato.

Accadde uno scandalo quando si seppe cosa aveva fatto la sorella, scappata con un marinaio a condurre una vita dissoluta chissà dove. Dai racconti rabbiosi che le facevano gli adulti, le arrivavano voci che il suo americano l’avesse scaricata a Genova, dove ora secondo i maligni, faceva la prostituta. Ma lei non ci voleva credere. Aveva nascosto le scarpe rosse e ogni tanto ci giocava ricordando come era bella e felice la sorella prima di partire. Poi venne la guerra e della sorella non si seppe più niente. C’è chi diceva che era andata in america con il fidanzato, altri che era morta. Un giorno, suo padre la scoprì che giocava con le scarpe rosse e la riempì di botte dicendogli se desiderava fine come la sorella. Poi le prese le scarpe rosse e le gettò nella stufa.

Fino a quel momento la signora aveva dimenticato la sorella che amava tanto; ma quelle scarpe erano proprio uguali a quelle che le aveva regalato la sorella. Mentre finiva il racconto e si sedeva sul divanetto sospirando, Cloris si accorse che aveva perso il suo sorriso professionale e la sua faccia lasciava trasparire sentimenti a lui nuovi.

Stava per parlare alla signora, quando furono interrotti dalla bambina che arrivò sbuffando dicendo che voleva anche lei le scarpe come la nonna.

La signora comprò le scarpe, anche se, appena levate dai piedi riassunse la sua aria da badessa di convento. Cloris la osservò da lontano e stentava a riconoscere la persona di qualche minuto prima. Ma in una cosa sperava segretamente; che arrivata a casa, nella solitudine della sua stanza, la signora indossasse le scarpe rosse e cantasse “Somewere over the rainbow…”. Avrebbe cantato danzando sulle sue scarpe rosse e sarebbe stata felice. Tutto per merito di un umile commesso che aveva saputo cogliere la sua essenza

Il tempo passava. Cloris continuava a svolgere la sua attività di routine al “Il Paradiso del piede”; ma era come se ci fosse stato un cambio di luce nella sua vita. Cloris cominciava a capire.

Ora non lo soddisfava più il suo misero impiego in quel magazzino di provincia. Cominciò a fare il punto della sua vita. Era vissuto come un bambino fino a quel momento. Aggrappato con ostinato egoismo al suo paradiso di scarpe, di piaceri egoistici finalizzati solo al proprio soddisfacimento. Gli era sempre sfuggito il fatto che, il suo amore e devozione per i piedi, fluissero da lui come un fiume, andando a bagnare le aride anime di chi cercava in un paio di scarpe nuove, un briciolo di felicità. Non poteva tenere tali rivelazioni per se. Doveva comunicarle al mondo. Far vivere la stessa gioia a tutti. Urlarlo! Gridarlo!

Finalmente aveva capito! Il suo amore non era qualcosa di cui vergognarsi, era una manifestazione dell’amore divino, da condividere con tutti e far uscire dall’ombra della vergogna i milioni di eletti come lui che avevano capito ma gioivano di questo piacere in solitudine, come aveva sempre fatto lui.

Dio sicuramente aveva ispirato il suo amore e ora doveva servirlo!



Senza preavvisi, lasciando tutti di sasso, Cloris Magri, un commesso modello de “Il Paradiso del piede”, il giorno 5 giugno, alle ore 15.00, lasciò il suo posto di lavoro per non farvi più ritorno.

Nessuno ne seppe più nulla per molto tempo, nemmeno la sua mammina che pianse tanto.

Qualche anno dopo, il telegiornale trasmettè la notizia che un certo Cloris Magri, leader di una setta americana ,chiamata “Il Piede di Dio”, era stato ucciso da una folla inferocita.

Il santone stava predicando in una pubblica piazza insieme ai suoi fedeli, quando nel momento della benedizione effettuata con i piedi, come professava il suo credo, era stato afferrato dalla folla inferocita e linciato mentre tutti i suoi fedeli si disperdevano. La polizia era intervenuta troppo tardi e ci sarebbero state anche delle inchieste sul caso, dato che, secondo alcuni testimoni, gli agenti avrebbero intenzionalmente ritardato ad intervenire, disgustati da tale pubblica dimostrazione di blasfemia.

Solo la televisione locale era intervenuta tempestivamente, filmando in diretta l’accaduto e riuscendo a registrare, mentre il leader spirava, la sua ulteriore offesa, scegliendo di citare mentre moriva le seguenti parole:

“Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno…”.

Nessun commento: