domenica 15 novembre 2009

Radio Alice, il mao-dadaismo e gli indiani metropolitani

di Giovanni
contatti: giovakologno@yahoo.it



Oddio, su “Lavorare con lentezza” sono state scritte talmente tante cose che mi chiedo cosa cavolo potrei aggiungere di originale e interessante io, studentello medio abbastanza ignorante in campo cinematografico, che, detto in tutta sincerità, il film l’ho visto parecchio tempo fa e faccio un po’ fatica a ricordarmi la trama (per fortuna la Santa Rete è piena di risorse e mi ha tratto d’impaccio anche stavolta…)

Per questioni anagrafiche nel Settantasette non c’ero.
I miei genitori sono della generazione precedente, quella del Sessantotto, e quando chiedo loro di parlarmi degli Anni di piombo, dell’Autonomia Operaia, degli espropri proletari e di cose di questo tipo, mi rispondono che i protagonisti di quella stagione erano dei pazzoidi un po’ esagitati, figli di papà che volevano tutto e subito, gente che faceva politica in maniera “spontaneista” e superficiale, senza studiare i testi sacri di Marx-Engels-Lukàcs e compagnia bella, che in piazza si mettevano a fare delle mascherate senza capo né coda oppure sparavano contro gli sbirri, e poi c’erano i fanatici che sono finiti prima nelle BR poi in galera…
Per varie ragioni, il vivacissimo periodo alla fine degli anni ’70 mi ha sempre interessato molto (Skiantos, Andrea Pazienza, il primo punk…), e quindi mi sono rimboccato le maniche recuperando informazioni un po’ qua e un po’ là, in modo del tutto raffazzonato, cercando di orientarmi e perdendo quasi sempre di vista la direzione da cui ero partito…

Ma nel film non è il Settantasette, inteso come particolarissimo momento storico, ciò che conta.
Il regista Guido Chiesa è stato abbastanza lungimirante da capire che non c’era nessun bisogno di fare un film nostalgico della serie “formidabili quegli anni” ad uso e consumo dei reduci di quell’epica stagione di lotte.
Lavorare con lentezza è straordinariamente rivolto al presente e al futuro: rimette in campo e in discussione tutta una serie di tematiche e di pratiche che nacquero allora ma che, porcamiseria, spaccherebbero di brutto* anche oggi, nel contesto delle lotte presenti.
Mi viene in mente una delle primissime scene, in cui un chiassoso e burlesco corteo di gente con maschere, costumi strani e strumenti musicali sfila per le vie di una Bologna divertita e stupita.
E penso subito ai cosiddetti indiani metropolitani: ragazzi e ragazze che ne hanno le palle piene del sistema e della società in cui vivono, ma allo stesso tempo non ne possono più della politica fatta in maniera seria e necessariamente dura-pura-incazzosa.
La soluzione? La tattica della frivolezza, della protesta creativa, della burla, della giocosità politica, della ri-appropriazione goliardica e (dis)organizzata degli spazi di socializzazione, delle strade, delle piazze, dei quartieri, di TUTTO!
O per dirla in una sola, delirante, parola: mao-dadaismo!!! (qualunque cosa voglia dire).

Questo atteggiamento festoso e casinaro, questa voglia irrefrenabile di lotta, di miglioramento, ma anche di felicità individuale e collettiva (perché ricordiamoci che il privato è politico e il politico è privato, eccheccazzo!) è la base di una della più fertili esperienze libertarie del Settantasette bolognese: Radio Alice, la grande protagonista del film.
Come la svampita bambina sognatrice del romanzo di Carroll, anche Radio Alice vive in una sorta di paese delle meraviglie: per tutto il corso della sua breve esistenza riesce a costruire uno spazio veramente libero in cui le convenzioni della società non valgono, in cui il potere, l’oppressione, la gerarchia, la santissima trinità dio-patria-famiglia non hanno più nessun significato, in cui si può parlare, amare, scopare, incazzarsi, fumare, fare fumetti (ecc, ecc) senza costrizioni di nessun tipo.
Radio Alice è l’embrione della società che tutti vorremmo, in cui si vive finalmente liberi dall’angoscia del lavoro salariato: migliorare la qualità della nostra vita fuori dal lavoro è politica, così come chiedere di lavorare di meno è politica. Perché faticare meno e liberare tempo sono nostri sacrosanti diritti.
Cioè, l’ESISTENZA, il NOSTRO TEMPO prima di tutto. Più questo tempo ci viene sottratto per produrre profitto per altri, meno è nostro, meno possiamo usarlo per stare con gli altri, per giocare con i bambini, per leggere, per viaggiare, per apprendere.

Penso che contestualizzare la frivolezza libertaria del Settantasette bolognese nelle lotte di oggi sia l’unico modo per ingrandire e far riacquistare peso ai movimenti, che stanno attraversando, dopo le mobilitazioni contro la globalizzazione neoliberista e contro la guerra infinita di Bush, una pesante fase di disorientamento e di stasi.
Come militanti è necessario rendersi conto che oggi è prima di tutto indispensabile una progettualità ragionata (ancora tutta da costruire), ma senza divertimento, senza il lato ludico e vitale della lotta, senza l’attenzione verso il privato, senza la sperimentazione diretta del mondo che sogniamo, NON SI VA DA NESSUNA PARTE.

Questa è la lezione che Radio Alice può darci, rivolta al nostro presente e al nostro futuro, senza cadere nel ricordo fine a se stesso né nella riproduzione automatica di tematiche e pratiche, che troppo spesso appesantiscono e ostacolano la capacità di inserirsi nel contesto storico-sociale contemporaneo (che è in continuo mutamento).

Accidenti, avrei altre mille cose da dire, ma il tempo è sempre tiranno (che stronzo!)…

MAI TORNARE INDIETRO, NEANCHE PER PRENDERE LA RINCORSA.
Andrea Pazienza


* Traduzione: farebbero faville

1 commento:

vernetto ha detto...

ti ringrazio per il simpatico post, ho visto il film "Lavorare con lentezza" ma mi e' piaciuto molto di piu il film sul film "Alice e il diavolo". Un bel documento storico. Quella di Radio Alice deve essere stata una bella esperienza, per me un po' troppo goliardesca ma comunque molto positiva e liberatoria. Erano davvero altri tempi, la rivoluzione sembrava davvero possibile, e dovere di ogni cittadino.