sabato 7 novembre 2009

L'ARTE DELLA GUERRA

di Francesca Stella Riva


Sono le undici e un quarto.
La zia di Laura guarda fuori dalla finestra e vede le macchine passare: una è una punto rossa.
La zia di Laura guarda le macchine passare ,guarda la punto rossa e il telefono squilla.
Al primo squillo si gira di scatto,nel silenzio lo squillo rimbomba.
Al secondo ingoia a forza il biscotto al miele – il terzo della serata – non si parla con la bocca piena.
Il terzo squillo trova la sua mano già sulla cornetta:
“Pronto?”
“Ciao,bella,è da tanto che non ti sentivo!”
“Mah,abbastanza bene,ma sono stanca. Oggi è stata una giornata lunga.”
“No,niente di che,le solite cose”.
Non ama parlare al telefono,ma lei la sente così raramente che pensa di poter fare uno strappo alla regola:si siede per terra a gambe incrociate,cerca di godersi la conversazione.
“No,non ho fretta, raccontami”
“Ho visto”
“No,non credo che Mario possa fare qualcosa”
“Costerà, certo, mica te lo regala, ma non sarà una spesa esagerata, credo”.
Poi,di colpo, un tonfo dall’altra parte del filo,forse Laura ha fatto cadere il telefono,forse una finestra è sbattuta violentemente. O forse no,nessuna delle due cose,pensa piuttosto al battipanni sul materasso,al passo di un elefante.
“Cos’è successo?”
“E come ha fatto,così,dal nulla?”
“Sei proprio sicura che non fosse già rotta?”
“Ah,bè,non sarà facile trovare qualcuno che te l’aggiusti così,su due piedi…”.
A Roma,da Laura,l’anta dell’armadio in camera da letto è uscita dai cardini ed è caduta per terra.
“Laura,guarda,ti devo salutare,sono già in ritardo”
“Si,è vero,ma mi è venuto in mente solo adesso,fra dieci minuti devo uscire e devo ancora prepararmi”
“si,si,a presto!”.
Sono le undici e venticinque.
La zia di Laura vede le macchine passare,vede una moto verde.
La zia di Laura vede le macchine passare,vede una moto verde e il telefono non squilla più.
Mangia un altro biscotto.
Il quarto della serata.



***



“Svestiti”. Le dice.

Nel silenzio di una stanza che sembra la sua, forse giusto un po' più grande, le dice “svestiti”, e tutto, intorno, è buio e pulito.

Nella stanza c'è un libro, con la copertina azzurra, avrà circa trecento pagine, forse quattrocento, a giudicare dal peso che sembra avere quando cade dal tavolo, con un tonfo sordo.

Si apre in maniera scomposta, le pagine si accartocciano, lei lo vede e scuote le spalle, come a dire “fa niente”: certo che non fa niente, non è casa sua.

“Subito”, le dice.

“Svestiti subito, che non è che staremo qui tutta la notte, fa' in fretta”.

Dicendolo abbassa la tapparella, come se fuori potesse esserci qualcuno a spiarli, o forse qualcuno c'è, visto che lui indugia, a torso nudo, davanti alla finestra, stagliandosi nell'aria tiepida di aprile. Le sue spalle potrebbero sorreggere una casa, tenerla sollevata da terra per sempre.

C'è una sedia, nella stanza, con una felpa sopra, e sotto la felpa, che è nera, una maglietta verde, più piccola, sulla spalliera una sciarpa, la sua, quella di lana pesante: quella l'ha tolta subito, sentiva un caldo soffocante, al primo momento.

“Su, forza”, dice lui, “togliti la camicia, voglio vedere come sei, nuda, guardami, io sono già pronto”.

E' pronto davvero, chiudendo la finestra si è sfilato pantaloni e mutande, adesso la fissa all'altezza del terzo bottone, tenendo le braccia incrociate sul petto e le mani sotto le ascelle, per scaldarle.

“Dai, su, almeno appoggia la borsa”.

E' vero, non ha ancora appoggiato la borsa, la sta ancora stringendo fra le mani, la posa con cautela, dentro c'è una bottiglia di vino, rosso, con un'etichetta che gli dà un'aria particolarmente pregiata, quando invece è stato comprato al discount sotto casa. Fa in modo che rimanga in piedi, non orizzontale, e che non si rompa, con troppa, troppa cura la appoggia alla gamba della scrivania.

Vista da fuori, questa camera potrebbe benissimo far parte di una scenografia anni ottanta, una di quelle case da yuppie, con i contrasti netti fra bianco e nero e l'aria asettica che comunicano le pareti, quando sono completamente spoglie.

A vederle dall'esterno, le due ombre, una di fronte all'altra, sono uno stupendo complemento d'arredo.

C'è un vaso di fiori sulla scrivania, li conta tutti: un girasole, una margherita, un giglio, una margherita rossa, un girasole, un girasole, un altro girasole, un giglio. E nel frattempo gioca col polsino destro, allargandolo con l'indice.

“Svestiti”, le ordina ancora, nudo, davanti a lei.

Mentre sta contando e il dito sta scorrendo tra la pelle e il cotone, rassegnata, incomincia a slacciare uno, due, tre bottoni, lui non parla, non un gesto, nulla, è solo un disegno nero sul pavimento bianco, il suo seno si scopre.

“Brava”, dice. “Forza, continua, ti aspetto”.

Nuda dalla vita in su, si accorge del freddo umido che c'è, rabbrividisce, lui non ha freddo? Probabilmente è abituato, è casa sua, il massimo che fa è ondeggiare le braccia, con le mani ancora nei cavi ascellari, come se fosse un uccello.

Non potrebbe essere più minaccioso e marziale di così, nessun vestito potrebbe dargli più imponenza. Il desiderio di una coperta calda la spinge a calare i pantaloni, rimane in mutande, lui annuisce.

“Non avevi detto di voler fare l'amore con me? Eccomi, ma l'amore si fa nudi, muoviti, non è che abbiamo tutta la notte”.

Dovremmo averla invece, dovrebbe essere che tu mi spogli, che slacci i bottoni, che mi sfili il reggiseno, dovremmo avere tutta la notte e tutto domani, nessuno dovrebbe stare sveglio a controllare l'orologio per capire in quale momento andar via, chiedendosi se farà meno rumore scendendo col piede sinistro, o con quello destro, dal letto.

“non abbiamo tutta la notte”

C'è una macchia arancione sul soffitto di quelle che, di solito, lascia lo scotch quando si scolla, è a forma di X.

“Su, cosa aspetti?”

C'è una macchia arancione sul soffitto di quelle che, di solito, lascia lo scotch quando si scolla, è a forma di X.

Si sfila le mutande da sola, le lascia cadere, le mani lungo i fianchi, le altre sotto le ascelle.

C'è una macchia arancione sul soffitto di quelle che, di solito, lascia lo scotch quando si scolla, è a forma di X.

Si sdraia sul letto, lui si avvicina, si siede sul bordo.

C'è una macchia arancione sul soffitto di quelle che, di solito, lascia lo scotch quando si scolla, è a forma di X.

Allarga le gambe.

“Forza, non abbiamo tutta la notte”.



***



Ascoltami,tu che non ascolti mai. Tu che quando parlo è come se non esistessi,come se conversassi col vuoto,ascoltami.
Quando tutto tace,di notte,perché la notte è per i ricordi,io parlo alla tua schiena,che mi guarda mentre tu dormi.
Ascoltami.
E’ stato anni fa e lontano da qui,non hai mai conosciuto nessuno di loro: è la strada fra Pietrasanta e Viareggio. Quante volte l’avrò percorsa, quell’estate? Non ero mai sola,c’era sempre anche lei.
Lei chi? Non me lo chiedi? Non le darò un nome se non ti interessa,aveva appena preso la patente e ogni sera passava a prendermi:il citofono suonava,uscivo correndo dal portone della mia vecchia casa e la vedevo al volante:“Dove andiamo?”
“Ci divertiamo”
“Perfetto,via!”
C’era poco da divertirsi e lo sapevamo tutte e due,ma un tacito accordo ci impediva di parlarne,era una legge ferrea. Cosa ci dicevamo,allora? Tutto il resto,banalità,caro,quello che più ti spaventa,quotidianità,niente di interessante,no? Quell’anno nessuna di noi due poteva permettersi la tristezza.

E’ notte.
C’è la spiaggia,c’è il mare,c’è la sabbia,solo che tu non vedi niente,perché davanti a te c’è un muro alto,massiccio,di cemento.Lì io e lei volevamo scrivere,in enormi lettere rosse, “NIGHTSWIMMING DESERVES A QUIET NIGHT”.Perché? perché nuotare di notte deve essere davvero come rimestare nei ricordi,con l’acqua scura e torbida e l’idea di proibito,la coscienza che ti suggerisce di non farlo,di lasciar perdere,chissà se hai mai nuotato di notte,nel mare,in piscina,chissà se ti piace il mare,chissà se mi dirai mai qualcosa di te,dopo tutto quello che io ho raccontato alle tue spalle.
Io che sono sposata con la tua schiena.

Dubito che ti interessi, ma sappi che alla fine l' abbiamo mai scritto e proprio adesso che muoio di nostalgia per tutta l’intensità di quel periodo,adesso che so che non potrò più farlo,mai, che è troppo tardi e tutto ormai è troppo difficile e svuotato di senso,adesso,sì, adesso vivrei meglio se sapessi che da qualche parte c’è una scritta rossa lasciata da me e lei in una notte d’estate.

Ti succederà un giorno. Le persone intorno a te si stuferanno di ascoltarti,di interessarsi alle tue parole. Saranno passati anni da questa casa,da me,da questa notte,sarà tutto perso e lontano nella tua memoria. Quando succederà,e stai sicuro,succederà,capirai quello che oggi è scivolato sulle tue vertebre,capirai la notte buia e la riga bianca della strada,i ricordi.
Nightswimming deserves a quiet night.
Per questo ora vado.
Domani ti sveglierai solo.

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