sabato 7 novembre 2009

Ok COMPUTER

di Francesca Stella Riva


E’ appena uscita dalla casa, due parole sono bastate a scatenare il gran finale, molte di più ce ne vorranno per spiegarsi davvero.

E’ notte, Estate: può sentirlo dai profumi, dall’assenza del vento, il cielo è un po’ meno terso; intorno alla Luna c’è un alone di foschia, bianco.



“Sdraiati,vieni”

“Dove?”

“Qui,sdraiati qui:senti?”

“Si,cos’è questo casino?”

“Tua madre e John,giù in cortile”

“E ridono così tanto?”

“Si,tua madre ride sempre un sacco,con lui”

“Vero. Dice sempre che sono uguali”

“Spegni la luce”



Sono pochi passi, fino alla macchina ,pochi passi percorsi un mare di volte, ogni ciottolo, ogni filo d’erba, conosciuti, ogni gesto ritualizzato. Non è in città, non è accecata dai lampioni, alle sue spalle ci sono le colline e, a mezz’ora di bicicletta, davanti a lei c’è il mare. Una volta,a Genova, cercando il porto,aveva detto a Lucia che se sei nata in una città di mare, la riva la trovi sempre, anche se sei in mezzo alle case e non vedi più in là del tuo naso.

Si gira, eccola, la spiaggia è laggiù, oltre i campi, oltre la statale, oltre le luci del lungomare di Viareggio.

La portiera,aperta e poi richiusa con forza nervosa dietro di sé, fa un rumore secco, l’unico nel raggio di molti metri, che quasi la spaventa. Non è molto lontana da casa, dovrà solo guidare venti minuti e poi potrà lasciare al vento, al sonno, il compito di spazzare via ogni cosa dalla sua mente e di lasciarla leggera, al mattino.

Il motore ronza,costante.



“Siamo su una zattera,su un fiume,la corrente ci porta via,questa musica è la corrente che ci porta via,dovremmo avere paura,ma siamo tranquille”

“E’ bello”

“Bisogna solo stare attenti a non scivolare in acqua”

“Cosa dice?”

“Non so,non capisco niente”

“Sento solo che ridono”

“Shhhh! Chiudi gli occhi”



La strada è buia, male illuminata, è soprapensiero,l a mente ancora fissa su tutte le parole dette, su quelle che dovrà ancora dire, sulle foglie dei cespugli a lato della strada. Proprio da lì vede sbucare qualcosa, improvvisamente, un’ombra indefinibile che le taglia la strada e, al suo rallentare, si mette a correre davanti alla macchina. E’ un animale, un cane forse? No,una volpe, che vuole correre illuminata dai suoi fari.

E corre.



“Un giorno campeggiamo in giardino,ho una tenda,la montiamo dietro casa e ci dormiamo”

“Fa molto film americano”

“Già,hai mai dormito in una tenda?”

“No,in realtà”

“Hai mai visto il molo di Viareggio?”

“No”

“Perché?”

“Cosa?La tenda o il molo?”

“Tutti e due”
”Non mi ci hanno mai portata”

“Mai?”
”Mai.”

“Nessuno?”

“Nessuno.”



La volpe corre.

Lei non vuole che corra, vuole che scappi: è un animale selvatico, del resto, dovrebbe aver paura invece di rimanere lì,ma non si sposta.

Stanotte ha sognato un piccolo cane nero che rincorreva una palla, quest’ombra, pensa, non rincorre nulla,e lei non capisce.

Ogni tanto si guardano: gli occhi gialli, vuoti, dell’animale si fissano nei suoi, stupiti dietro al parabrezza.

Gli sarebbe piaciuta, ne è sicura, a lui piacciono gli animali, se domani si vedessero, se fosse tutto come al solito, glielo racconterebbe.

Cosa farebbe lui? Frenerebbe di colpo? Lei no, di sicuro, vuole essere a casa in fretta e non vuole spezzare la bellezza di questo attimo.

Che verso fa una volpe? Abbassa i finestrini, si sporge e urla per spaventarla,ma non succede molto,semplicemente le quattro zampe aumentano il ritmo sull’asfalto.



“Ti ricordi quando andavamo a pattinare?”

“Si,con la Paola”

“Ti ricordi che in macchina ascoltavamo sempre i Beatles?”

“Si,e cantavamo sempre Please please me”

“Arrivavamo là e lei ci lasciava sole,era divertente”

“Mi sentivo grande”

“Anch’io,con John non era così”

“Un giorno ci torniamo a pattinare,da sole”

“Questo è mio padre?”

“Si,ride anche lui”

“Meno male!”

“Senti ancora la musica,o parlano troppo forte?”

“No,sento,sento.Adesso cosa sta dicendo?”

“Fa piovere,fa piovere su di me,da molto in alto”



Tornerà a casa, pensa, e la volpe sarà ancora lì,mentre starà parcheggiando aspetterà docile nello spiazzo erboso di fianco alla macchina, la seguirà fino al cancello del giardino e lei le porterà cibo per gatti, diventeranno amiche.

Può essere una buona idea,una volpe che torna ogni tanto per del Friskies e a lui piac erebbe,lo sa.

Ci verranno i bambini in processione a guardarla da lontano, istruiti a non far troppo rumore per non spaventarla,lei si specchierà nei suoi occhi gialli.



“Sento la pioggia”

“Dove?”

“Intorno a noi,su di noi,su tutto il giardino,su John e Giorgia e mamma e papà”

“Almeno piovesse”

“Domani mi porti sul molo?”

“Domani no,quando torno da Londra”

“Mi mandi una cartolina?”

“Ok”

“Da Leeds,però,non da Londra,da Londra non vorrebbe dire un cazzo”



Ormai è quasi arrivata, ci sono le prime case, il buio intorno è un po’ meno fitto, ricorda un giorno in montagna, in cerca di un fiume in cui sciogliere il caldo di Agosto, quel giorno, in una tana, aveva visto la stessa silhouette. Parcheggerà. La addomesticherà.



“Quando torno campeggiamo in giardino”

“Non è troppo da bambini?”

“Appunto”

“Abbiamo sedici anni,siamo grandi”

“Appunto”



Inchioda, i freni stridono.

Esce sbattendo la portiera con forza.

Al lato della strada c’è un campo di granturco. Pannocchie, nere, nel buio.

L’animale è immobile.

Si guardano.

Lei urla, urla, urla, batte i piedi, picchia le mani sul cofano, fa un passo ma l’ombra rimane a guardarla.

Si lancia verso di lei, perde l’equilibrio, cade sotto i suoi occhi gialli,vitrei come biglie.

Urla, urla ancora, faccia a terra, la silhouette finalmente scompare fra le spighe.

Urla, urla e urla ancora, anche se non c’è più nulla contro cui urlare.

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