sabato 7 novembre 2009

ORA DI PRANZO

di Chiara Natalini


La sua camera da letto era calda e afosa. Il ventilatore che pendeva dal soffitto, rimestava l’aria calda nella notte, mentre lei dormiva. Al mattino si svegliava già stanca, col nervo del trigemino infiammato e la cervicale. Il mal di testa che ne derivava, le durava per tutto il giorno.

Erano quasi le due del pomeriggio. Lui non era ancora arrivato. Arrivava sempre quando tutti avevano finito di mangiare. Solo suo figlio, ovvero il fratellino di Lei, restava a tavola con il babbo, che neanche lo ascoltava e annuiva alla sua mitraglia di parole con la bocca e la testa pieni di cibo e dei problemi di lavoro.

Molte volte l’insistenza del bambino era ripagata da affermazioni di esasperazione, e il dialogo finiva con i pianti tragici del piccolo e le urla isteriche della madre.

Lei cercava di evitare in ogni modo il dover partecipare al rito della tavola. Aveva sviluppato varie strategie per passare inosservata in quel momento di inevitabile convivenza familiare.

D’inverno era più facile. L’università la teneva spesso fuori casa a quell’ora, e i suoi pasti venivano consumati nella mensa universitaria. Tutti odiavano la mensa, lamentandosi del cibo, ma lei mangiava decisamente meglio lì che a casa sua.

Ma ora era estate. A pranzo non si scappava.

Anche la cena, non era certo da meno, ma almeno dopo, se c’era stata una litigata, poteva andare a letto e rigenerarsi. Le liti all’ora di pranzo, le rovinavano tutto l’andamento della giornata.

(Comunque, da qualche mese, aveva risolto il problema, non presentandosi, almeno a cena.

La cosa aveva dei lati positivi. Era dimagrita parecchio. Ma vi era stato anche un seccante rovescio.

Era stata quasi tutto l’inverno malata e in quella casa, non ci si poteva permettere di dipendere concretamente da qualcuno.)

Comunque, in quel momento la situazione era un po’ più leggera. A pasteggiare mancava un componente. Ma il rischio di scenate isteriche non se ne andava. Mentre osservava la faccia e ascoltava il tono della madre, aveva già chiaro che i pretesti per la cagnara c’erano tutti.

Stare allerta. Mordesi la lingua…

Sua madre era in conflitto con Lui. La voce, man mano che raccontava e cercava appoggio da sua figlia e suo figlio, diventava sempre più irritata e rabbiosa. Stava dimenticando il motivo della sua rabbia e l’unica cosa che le interessava, era di poterla sfogare.

C’erano solo Lei e il piccolo. Lei cercò di non rispondere per le rime. Di restare calma e non buttare benzina sul fuoco.

Ma quel pranzo… non era stato per niente soddisfacente. Aveva saziato la fame, ma non la tristezza.

E poi diciamocelo, anche lei non è che avesse poi un così mite carattere…

Il suo autocontrollo vacillò.

Riversò sulla madre un fiume di cattiverie, accuse e insulti.

Il litigio finì nel nulla, così come pareva che fosse iniziato.

Il fratellino piangeva e aveva ripreso il suo tic isterico all’occhio. Povero piccolo… perdonala un giorno se puoi.

Lei era la stronza.

Lei era quella cattiva.

Lei era quella che sbatteva sempre brutalmente la realtà in faccia, senza curarsi del dolore che questa poteva provocare. Senza riuscire mai, a rassegnarsi alla normale indifferenza. Perdonala un giorno, se puoi.

Dalle scale sentì provenire il rumore della porta che si apriva.

Lui era tornato a casa.

Il pranzo per Lei era finito. Si alzò da tavola e si chiuse in camera sua, prima di poterlo incrociare.

Il mare di lacrime che l’attendeva nell’ennesima solitudine, era da dodici anni, il dessert amaro che chiudeva molto spesso i suoi pranzi in famiglia.

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